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Ogni anno a Pasqua, dal 1542 in poi, si rinnova nella chiesa della Veterana una tradizione che contiene dentro la storia e la fede di un popolo. I Nicastresi nel pomeriggio di Pasqua si recano nella suddetta chiesa per guadagnare le indulgenze che, erroneamente secondo la tradizione e secondo alcuni storici, concesse Callisto II il 1121, quando venne in Calabria per consacrare la Cattedrale di Catanzaro e soggiornò per quindici giorni nel castello di Nicastro, per pacificare Ruggero II conte di Sicilia e Guglielmo Duca di Calabria. In effetti non fu Callisto II a concedere le indulgenze ai visitatori di questa chiesa, perché nel 1121 ancora l’edificio non era stato costruito.In riferimento a questa concessione c’è un altro documento contenuto negli Atti della Visita della Città di Nicastro del Visitatore Apostolico Paolino Pace il quale riporta che:

“die XVII februarii 1769, Ill.mus visitavit Ecclesiam B.V.M. nuncupatam della Veterana, filialem S. Theodori, sita in summitate civitatis, extra arcem et iuxta montem, que dicitur Viola. In altari maiori veneratur imagines pictae B.M.V., SS. Lucae ei Stefani. In praefata Ecclesia aderat erecta Confraternitas, cuius extat monumentum in carta pergamena anni 1542, die 5 martii, quo summus Pontifex Paulus III impertitus est indulgentias centum dierum visitantibus hanc Ecclesiam in festis Pentecostes, Visitationis B.M.V., Purificationis, S. Mariae ad Nives et S. Stephani; necnon usus saccorum, quibus induti, pii homines Processionibus publicis intersunt”.

Se Paolino Pace parla di una pergamena con la quale il Sommo Pontefice Paolo III, in data 5 marzo 1542, concesse le indulgenze di 100 giorni a quelli che avessero visitato la chiesa della Veterana nei giorni della Pentecoste, della Visitazione, della Purificazione, di S. Maria della Neve e di S. Stefano, significa che, all’atto della visita, la pergamena si trovava in stato di buona conservazione, al punto che ne venne trascritta una parte dal Visitatore. La notizia che ne da Paolino Pace è confermata dal regesto Vaticano, che riporta il decreto di Paolo III.Sorge però una difficoltà, poiché nell’elenco delle feste, durante le quali potevano guadagnarsi le indulgenze, manca proprio il giorno di Pasqua, giorno in cui ancora oggi tanti pellegrini si recano in questa chiesa. Pietro Ardito, sacerdote letterato e poeta, nativo del rione di S. Teodoro, da questa spiegazione: “La pentecoste, che è la prima festa nominata nella concessione delle indulgenze, è chiamata dal popolino Pasqua Jurita (Pasqua fiorita). Con il tempo, non si menziono più jurita e si iniziò, nel giorno di Pasqua, quella tradizione che ancora dura”.La denominazione Madonna de cucchiarelle ebbe origine quando in occasione della Pasqua veniva esposta la Bolla, con la quale erano state concesse le indulgenze, attaccata ad alcuni pezzi di latta a forma di cucchiare e il popolo non capendo le difficili parole come Bolla o pergamena semplificò tutto con l’espressione e cucchiarelle e la Madonna delle Grazie divenne la Madonna delle cucchiarelle.Della vecchia Bolla in pergamena oggi si conservano solo dei frammenti, sui quali, in differenti righe, si leggono le seguenti parole: “Romano……Onnipotentia ad……unde et……nomen……nec non……in eo……vivum……expetentibus et……vistationi……sigillorum……octavo……”. L’ultima parola, che certamente appartiene alla data della pergamena, conferma che fu Paolo III a concedere l’indulgenza nel 1542, poiché esso coincide con l’anno ottavo del suo pontificato.La presenza della chiesa della Veterana e il culto che ruotava intorno ad essa hanno influenzato fortemente la cultura e la fede della popolazione del rione di S. Teodoro, tanto che sono nate intorno ad essa canti, leggende e poesie. Di queste ultime, ne viene riportata una molto significativa per capire come in quegli anni la fede influenzasse e fosse incarnata nella storia, nella società, e nel modo di vivere di un popolo intero:

“Catananna, gghiasicella, pizzentella, chi posata ad autu situ campi ancora, fhora fhora, assistuta i nu rimitu.Di Nicastru certamenti tiani a menti e lli Conti e lli Baruni: chilli tiampi, santi tiampi, da rizziglia e du cirvuni.Forzi puru Bizantini, Saracini, ti ricuardi e li Nurmanni, u castiallu giuviniallu tisu e forti, senza danni.Tu pur’eri giuvinella tandu e bella. Ti viniamu a sisitari ogni juarnu du d’intuarnu, viacchi, giuvani e quatrari. E pua a sira di la festa, vinu ntesta, chistu certu unn’è minzogna, si cantava, si ballava allu suanu da zampogna.Mbeci mo si trascurata, riscurdata! Mpirò a pasqua i pacchianelli a tia veninu, e ci teninu, a vasari i cucchiarelli.St’usu sulu t’è restatu du passatu! Ma nu cantu ti cosola: i canzuni ntra u valluni di lavandari i Niola (fiume che passa a fianco della chiesa).